L’ultimo tratto della Via del Confino va da via Nuova all'odierno corso Pisacane. In via Nuova alloggiarono parecchi confinati, tra cui Sandro Pertini (attuale hotel La Baia) e Roman Pahor. Appena dopo la scala di palazzo Irollo si trovava il piccolo laboraorio di orologiaio di Altiero Spinelli. Si raggiunge piazza Gaetano Vitiello; qui, nel palazzo Tagliamonte, aveva sede il Municipio; qui si celebravano i matrimoni dei confinati. Poco più avanti, la casa in cui abitò Domizio Torrigiani, Gran Maestro della Massoneria; vi si accede da via Corridoio. In via Corridoio abitò il generale Roberto Bencivenga. Oltre la scala che collega il corso a via Corridoio c'è un negozio di frutta e verdura, proprio come al tempo dei confinati; il fruttivendolo dell'epoca si chiamava Minicuccio, faceva i conti con un sistema tutto suo ma i risultati erano sempre corretti.
Sandro Pertini (confinato): Facevo lunghe passeggiate nelle strade in cui ci era consentito il transito. Consumavo i pasti nella mensa dei confinati di Giustizia e Libertà; qualche volta mangiavo anche con gli anarchici, soprattutto quando riuscivano ad acquistare per pochi soldi qualche aragosta moribonda che i pescivendoli si affrettavano a togliere dalle grandi nasse-vivaio immerse nelle pulitissime acque del porto. In un secondo tempo mangiai alla mensa dei comunisti che, come al solito, erano quelli organizzati meglio: da loro, com'era giusto, bisognava fare a turno i camerieri e gli sguatteri. Molte ore le passavo nella mia camera a leggere e a studiare. Giorgio Amendola (confinato): Venne il giorno della cerimonia, il 10 luglio del 1934. Avevamo scelto come testimoni i due compagni che facevano parte del mio gruppo di partito. Non volli fare una scelta personale, che avrebbe potuto creare gelosie o sottolineare le mie preferenze individuali. Inoltre erano due compagni operai, Sella di Schio e Tominez di Muggia. Avevo tenuto nascosta la data del matrimonio per evitare curiosità. Arrivammo al municipio con le giacche nella borsa, per passare inosservati. Tutto avvenne rapidamente. Scendemmo canticchiando un inno nazionale e ci fermammo a prendere un aperitivo. Il nostro impegno era già stato preso da un pezzo. Giuliana Segre (moglie del confinato Bruno Giorgi): Nell'ottobre del 1934 ottenni dalla Polizia politica l'autorizzazione per andare a visitare mio padre, confinato a Ponza per due anni. Conobbi a Ponza lo scultore Bruno Giorgi, comunista, di Roma. E con Bruno qualche mese dopo mi sposai civilmente, a Ponza, presso quel famoso sindaco che, per non offenderci, nascondeva il tricolore col sottomano: in quanto antifascisti, per lui, dovevamo essere anche antitaliani. Niente candidi veli nè banchetti, ma di festeggiamenti ce ne furono: all'emiliana, data la preponderanza di confinati emiliani. Le compagne mi prepararono affettuosamente all'evento e confezionarono una quantità enorme di tortellini alla modenese per gli invitati. Poi c'era solo un secondo che era anche dessert, a base di prugne cotte. Genoveffa D'Atri (ponzese): Ogni domenica pomeriggio Civita, che viveva con noi, portava me e mia sorella Giulia a far visita alla vecchia nutrice di mia madre, che viveva a Chiaia di Luna. Alla fine della Punta Bianca c'era una botteguccia con una porta a vetri; dietro, un uomo riparava orologi. Era alto, con una barba folta e i capelli arruffati; era brutto! Io ero terrorizzata, mi stringevo a Civita, volevo che corressimo. Quell'uomo era Spinelli.