In via Vincenzo De Luca era collocata l’Infermeria (a sinistra); sulla sommità della salita vi erano la Pretura, il Carcere Mandamentale, la caserma della milizia (Torre), la mensa dei confinati pugliesi, la casa di Mario Magri (sulla destra). All’inizio di via Parata si trovava un’altra garitta (oggi edicola votiva).
Giorgio Amendola (confinato): Condotto in pretura prima dell'udienza, il pretore mi fece chiamare e chiese al cancelliere di lasciarci soli. Era imbarazzato. "Mi hai riconosciuto" mi disse, "siamo stati compagni all'università e io mi trovo ora a doverti giudicare. Devi comprendere la mia pena."Non si preoccupi" risposi sprezzante, "faccia il suo dovere al servizio del regime come lo faccio io al servizio del mio partito". Rimase in silenzio, poi chiamò il cancelliere e fece entrare gli altri imputati. Il processo fu brevissimo. Condannati Sacripante e Molinari a cinque mesi di reclusione, gli altri quattro furono assolti. Il testo della sentenza, che ho ritrovato negli archivi, dimostra che il pretore ci aiutò effettivamente. (I confinati pugliesi avevano organizzato una loro mensa per poter risparmiare e mandare a casa parte della mazzetta giornaliera) Sentivo direttamente che cos'era la fame dei braccianti pugliesi, quella di cui mi aveva parlato Di Vittorio a Parigi. Ecco le due Italie. Le famiglie dei braccianti emiliani mandano periodicamente sussidi in denaro e ricchi pacchi di generi alimentari, spesso frutto di iniziative collettive, del Soccorso Rosso locale. I braccianti pugliesi non ricevono nulla da casa e sono costretti, invece, a mandare a casa i loro risparmi. Maria Baroncini (confinata): L’isola era molto povera e la popolazione arretrata quanto mai; in un primo tempo s’era mostrata ostile e diffidente verso i confinati, il prete dal pulpito ci descriveva come creature dannate, dipingendoci con i colori più foschi fino a esortare le madri a non fare uscire di casa le loro figlie, e i mariti le loro mogli. Si può immaginare quale effetto facessero, almeno inizialmente, queste prediche a una popolazione arretrata e piena i pregiudizi, nella quale si cercava di inculcare in quegli anni l’idea che tutte le virtù si incarnavano nel regime fascista. Poi le cose cambiarono: il contegno serio e rispettoso dei confinati convinse la popolazione che si trattava di calunnie. Camilla Ravera (confinata): Scendendo dalla nave, scorsi in lontananza un folto gruppo di persone: i confinati in attesa di nuovi compagni ed amici. Fui condotta negli uffici della direzione della colonia per le formalità dell'arrivo. Tutte le mie cose furono trattenute per controllo. E infine potei raggiungere il gruppo di confinati rimasti in attesa della mia liberazione. Si affollavano intorno a me compagni con i quali avevo lavorato e lottato. Affettuosamente mi accoglievano Sandro Pertini, i giellisti, l'anarchico Paolo Schicci. Quel fraterno ritrovarsi era come rtornare in famiglia. Discorsi e racconti s'intrecciarono in quei giorni. Genoveffa D'Atri (ponzese): Ricordo tanti confinati, venivano nel nostro negozio. Zaniboni chiedeva che gli mettessimo da parte sigari di qualità, ben diversi da quelli che si potevano acquistare con la tessera; per ringraziarci, ci regalava zucche che lui stesso coltivava. Il generale Bencivenga aveva preso in affitto la nostra casa su via Corridoio. Ricordo un confinato che abitava in una casa di via Corridoio adiacente alla nostra; prendeva l'acqua alla nostra cisterna perchè la sua casa ne era priva. Un giorno entrò nel tabacchino per comprare le sigarette e i militi che lo sorvegliavano restarono fuori, appoggiati al muretto; forse si distrassero, non lo videro uscire; con modi arroganti e violenti accusarono mia madre di aver permesso al loro sorvegliato di raggiungere via Corridoio attraverso la scala interna che collegava il tabacchino e la nostra abitazione. Da quel momento, per non avere guai con i militi, smettemmo di rifornire d'acqua il nostro vicino. Vittorio Spignesi (ponzese): Porto il nome di mio nonno, che ha conosciuto tutti i confinati arrivati a Ponza. Era guardia carceraria, accoglieva i confinati che, all'arrivo, dovevano passare al carcere per identificazione, perquisizione, assegnazione della carta di permanenza. Molti di loro furono detenuti per aver trasgredito al regolamento. Mia nonna Luisa non dipendeva dall'amministrazione carceraria ma svolgeva alcune mansioni: perquisiva le donne, cucinava, molto apprezzata era la sua pasta e lenticchie.